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Sa Femmina Accabadora

Il resto è silenzio...

 

(William Shakespeare)

Sa Femmina Accabadora era la donna che, anticamente in Sardegna, dava la morte ai malati terminali.

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Alcuni antropologi negano che sia esistita realmente, mentre altri studiosi hanno incentrato la loro ricerca su questa particolare figura, corroborando la loro tesi con documenti e testimonianze dirette.

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Ma chi era realmente questa figura misteriosa?

Si trattava di una donna, generalmente anziana, che veniva chiamata quando in una casa era presente una persona sofferente che tardava a morire. Accelerava il processo di

morte restituendo dignità al malato incurabile e regalandogli la pace eterna.

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Il suo operato consisteva in un vero e proprio rituale delicato, scrupoloso, silenzioso e indolore. Non appena si richiedeva il suo intervento, la donna si introduceva nella casa dell’agonizzante, lasciata aperta appositamente dai parenti e una volta introdottasi silenziosamente nella sua stanza, toglieva le pungas e le rezettas (amuleti) che l’ammalato eventualmente aveva addosso. Si riteneva che tali oggetti infatti, sia essi di matrice cattolica che pagana, incatenavano l’anima al corpo e non la lasciavano libera di andare via.

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Successivamente collocava un giualeddu sotto il collo dell’infermo, sotto il cuscino o sotto il suo letto. Si trattava di una riproduzione in legno del giogo agricolo perché si credeva che la sua lunga agonia fosse da attribuire al fatto che da giovane avesse bruciato un giogo, rubato attrezzi agricoli, oppure avesse spostato dei confini terrieri. Erano infatti considerati atti gravissimi nel mondo agro-pastorale tali da suscitare l’ira divina che si scatenava in punto di morte.

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Il metodo più utilizzato era quello di assestare un colpo sulla tempia dell’ammalato o sull’osso del collo con un mazzolu (chiamato anche mazzoccu o mazzocca). Si trattava di uno strumento, ricavato dall’olivastro, che aveva una

lunghezza di circa quaranta e un manico di venti centimetri. L’unico esemplare è oggi custodito nel Museo Etnografico Galluras a Luras e fu ritrovato all’interno di un muretto a secco in un vecchio stazzo.

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L’operazione durava pochi istanti e avveniva senza alcuna sofferenza; la donna infatti conosceva perfettamente i punti mortali e non sbagliava mai. Prima di usare lo “strumento della morte” recitava delle orazioni continue che, facevano parte del rituale magico e che servivano, in un certo senso, a ipnotizzare l’ammalato. Talvolta cullava l’infermo tenendolo tra le braccia e usava il cuscino per soffocarlo al posto del mazzolu.

 

Non riscuoteva mai dei soldi per il suo operato perché il suo era considerato un gesto caritatevole. La famiglia però cercava sempre di sdebitarsi regalandole prodotti alimentari. Le istituzioni chiudevano un occhio davanti a tale pratica, nonostante fosse considerato un atto antigiuridico ma veniva tollerato perché voluto dall’intera comunità.

 

Gli scrittori dell’Ottocento, nei loro appunti di viaggio, si dilungano nel descrivere questa figura. Lo stesso sacerdote Antonio Bresciani, nel suo viaggio in Sardegna, riferisce di "suoi colleghi sardi a cui molte donne chiedevano il permesso di togliere dal collo la medaglietta e lo scapolare all’infermo"; una sorta di richiesta di assoluzione da parte del prete per l’uso di “certe pratiche”.

 

La singolare figura ha suscitato un grande interesse anche nel campo della cinematografia, della letteratura e del teatro. Il regista Michele Sechi le rende omaggio con il cortometraggio Sa Femina Accabadora in penitentzia de morte (2008), mentre il regista Enrico Pau ha realizzato un lungometraggio la cui uscita è previstanell'aprile del 2017  prendendo come fonte di ispirazione il libro del medico legale Bucarelli*.

 

La scrittrice Michela Murgia romanza invece la “dolce morte” nel libro Accabadora (2009) tradotto in diverse lingue e che presto verrà visionato nelle sale cinematografiche con il titolo di “L’ultima madre” diretto da Emanuela Rizzotto.

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Accabadora è anche il nome di una via dell'arrampicata di livello 8a+/b, aperta dall'icona dell'arrampicata italiana Manolo che si trova a Gutturu Cardaxius, nella zona delle miniere della Sardegna

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L'Accabadora è riuscita a uscire dai confini isolani grazie alla video installazione in lingua francese  di Chiara Mulas, originaria di Ollolai, ispirata alla misteriosa figura. 

 Si introduceva nella stanza dell'agonizzante e toglieva le pungas e le rezettas perché si pensava potessero trattenere sulla terra l'anima del sofferente...

English version

Fonti:

Bucarelli A., Lubrano C., Eutanasia ante litteram in Sardegna. Sa femmina accabbadòra. Usi, costumi e tradizioni attorno alla morte in Sardegna. Scuola Sarda, 2003;

Bresciani Antonio, Dei costumi dell'isola di Sardegna comparati cogli antichissimi popoli orientali, Ilisso Edizioni, Nuoro, 2001;

Caredda G. Paolo, Le tradizioni popolari della Sardegna, Editrice Archivio Fotografico Sardo Nuoro 1993;

Pala P. Giacomo, Antologia della Femina Agabbadòra, Museo etnografico Galluras, Perfugas 2010;

Turchi Dolores, Ho visto agire s’accabadora, Edizioni IRIS s.r.l., Oliena, 2008.

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